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Sep 29, 2025

AI contro UI? Nella mia esperienza, la vera forza è nella loro alleanza

AI contro UI? Nella mia esperienza, la vera forza è nella loro alleanza

AI contro UI? Nella mia esperienza, la vera forza è nella loro alleanza

L’articolo smonta il mito “AI contro UI” e mostra, con esempi pratici, come le interfacce restino essenziali per guidare, spiegare e governare l’IA. Dalla manipolazione diretta ai suggerimenti contestuali, propongo pattern e criteri di qualità per progettare esperienze realmente usabili e affidabili, ispirati anche dalle riflessioni di Dan Saffer.

AI contro UI? Nella mia esperienza, la vera forza è nella loro alleanza

Quando qualcuno mi chiede se l’Intelligenza Artificiale “ucciderà” l’interfaccia utente, sorrido. Se guardo ai progetti che seguo ogni giorno, vedo l’opposto: l’IA sta costringendo la UI a fare un salto di qualità. Non perché sparirà, ma perché deve diventare l’abilitatore di una potenza nuova - qualcosa che l’utente può capire, guidare e, soprattutto, di cui può fidarsi. È una prospettiva che devo anche a Dan Saffer: nei suoi articoli e nelle sue riflessioni, il punto è netto - una UI ben progettata non solo non scompare, diventa più strategica che mai per addomesticare la complessità dell’IA.

Oltre la casella di testo: perché la chat da sola non basta

Nel lavoro quotidiano vedo il limite dell’“AI = chatbox”. La conversazione è formidabile per scoprire, chiedere, impostare un obiettivo; ma non è sempre il mezzo migliore per vedere opzioni, confrontare alternative, rifinire dettagli. Persino i numeri lo ricordano: leggiamo in media più velocemente di quanto parliamo o ascoltiamo, e quando devo scegliere un ristorante è infinitamente più efficace scorrere una lista con immagini e rating o una mappa puntinata che ascoltare un elenco recitato. Le GUI non sono un feticcio nostalgico: in tanti compiti restano imbattibili per velocità, precisione e carico cognitivo.

Questo è anche un tema di accessibilità reale. Non tutti possono (o vogliono) dettare a voce; non tutti hanno il tempo o la competenza per fare prompt engineering. Una UI chiara e diretta rimane il canale più inclusivo - il modo più “universale” per abbassare l’attrito e allargare la platea di chi può usare davvero l’IA.

Dalle formule magiche agli strumenti: la manipolazione diretta

Nei miei progetti ho imparato a spostare la promessa dall’incantesimo del prompt allo strumento che controlli con le mani. L’esempio classico è l’editing di immagini: invece di scrivere un prompt barocco (“rendi il cielo più drammatico, aumenta il contrasto del 30%, rimuovi la persona a sinistra”), è infinitamente più naturale cliccare il cielo e muovere uno slider, pennellare l’area da rimuovere, vedere il risultato in tempo reale e regolare con un secondo gesto. È la logica della manipolazione diretta, più precisa, più soddisfacente, meno stancante mentalmente. Non a caso, nei tool che le persone già usano - da Photoshop a Figma fino a Canva - l’IA funziona meglio quando è integrata nei pattern familiari: un pulsante “migliora con AI”, un’azione nel menu contestuale, una maniglia che compare sul componente giusto. La chat resta, ma come uno dei comandi.

Questa integrazione non è cosmetica: è un patto di responsabilità. L’IA fa il lavoro pesante (ricerca, generazione, trasformazioni) mentre la UI fornisce controllo, visibilità e feedback interpretabile a colpo d’occhio. È qui che la fiducia germoglia.

Pattern che adotto quando porto l’IA dove gli utenti già lavorano

Negli ultimi mesi ho consolidato alcuni pattern che, progetto dopo progetto, si sono rivelati efficaci:

  • Suggerimenti contestuali proattivi: suggerire next step in base allo stato del documento (es. “estrai tabella”, “riscrivi in tono sintetico”) direttamente dove l’utente guarda.

  • Selettori puntuali: strumenti per rigenerare solo una frase, un paragrafo, un layer o un’area dell’immagine, senza buttare via il resto.

  • Parametri visivi: slider, chip, toggle per controllare “tono, lunghezza, creatività, rischio”.

  • Anteprime multiple comparabili: confronti side-by-side con differenze evidenziate; scelte rapide con scorciatoie da tastiera.

  • Feedback immediato: loader informativi (“sto sintetizzando in 3 punti dal paragrafo X”), con annulla e ripristina a un clic.

Questi elementi, in combinazione, riducono la distanza fra intenzione e risultato, e, come nota Saffer, mantengono l’utente in agency senza costringerlo a diventare un “mago delle parole”.

La UI che si adatta (davvero) a me: verso interfacce dinamiche

L’IA sblocca una frontiera che prima trattavamo come fantascienza: interfacce che cambiano in tempo reale in base a profilo, obiettivo, contesto. Nei miei esperimenti più recenti, la stessa app mostra scorciatoie diverse se sto scrivendo una proposta commerciale o creando contenuti social; il layout si riorganizza quando rileva che sto in “modalità revisione” rispetto alla “modalità bozza”. Non è “personalizzazione di facciata”: è adattività operativa. Ed è un’area in cui vedo il massimo potenziale nel medio periodo.

Human-in-the-loop: i momenti di decisione che restano umani

Anche quando affido all’agente il 90% di un processo (ricerca voli, composizione di un itinerario, preparazione di un report), i nodi cruciali - il trade-off tra prezzo e scali, la scelta del tono verso un cliente, l’approvazione finale di una spesa - rimangono nelle mie mani. Non voglio ascoltare una lista infinita di opzioni: voglio una vista comparativa chiara e sintetica, con pro/contro e “perché” già messi in evidenza, e poi un pulsante “procedi”. Questo è human-in-the-loop ben progettato, ed è l’antidoto sia alla delega cieca sia al micromanagement. In domini ad alto rischio (finanza, salute) è indispensabile: dashboard, notifiche, log trasparenti e controlli manuali non sono optional, sono infrastruttura di fiducia.

Un nuovo “utente” della UI: gli agenti

C’è un’altra svolta che nel mio lavoro sto già toccando con mano: la UI ha un nuovo utente, non umano. Gli agenti imparano a usare interfacce esistenti, simulando click e input come farebbe una persona per orchestrare task multi-app. Questo non elimina la UI - la rende ancora più esigente: coerenza, prevedibilità, semantica dei controlli diventano requisiti anche per la “lettura” macchina. Se l’interfaccia è caotica, ambigua, piena di eccezioni, anche l’agente più capace va in tilt. Progettare per l’IA significa quindi progettare anche per un interprete software, oltre che per gli umani.

Le sette sfide di design che sto affrontando (e come le sto risolvendo)
  1. Superare la pagina bianca
    Una chat vuota con scritto “Chiedimi qualcosa” è paralizzante per molti. Sto introducendo prompt starter curati per obiettivo (es. “trasforma questa bozza in una scaletta”, “genera 3 varianti aderenti al brand”), “mostre” di esempi riusciti e wizard che traducono obiettivi in prompt robusti, senza rubare controllo.

  2. Selezione e rigenerazione granulari
    Gli utenti vogliono cambiare solo un pezzo. Qui funzionano selettori contestuali, comandi inline (“riscrivi in attivo”), strumenti di diff e versioning per ricombinare alternative. 

  3. Multitasking senza caos
    Un agente può lanciare subtasks paralleli, ma l’umano ha bisogno di una coda leggibile: timeline dei processi, stati chiari (“in attesa dati”, “richiede conferma”), priorità modificabili, e un unico spazio di recap

  4. Memoria con governance dell’utente
    La memoria non è “tutto sempre”. Disegno pannelli per decidere cosa ricordare (preferenze, fonti, tono) e cosa dimenticare, con effetti esplicitati (“questo migliorerà X, costa Y”). È un equilibrio tra utilità, performance e privacy. 

  5. Navigare conversazioni lunghe
    Sto sostituendo lo scroll infinito con capitoli, ancore, ricerca nel thread, “riusa questo prompt” e collezioni personali. È produttività, non nostalgia delle cartelle.

  6. Errori, allucinazioni e verifiche
    Progetto interfacce che mettono in evidenza le incertezze: badge di confidenza, pulsanti “verifica le fonti”, citazioni ancorate a porzioni di testo, flussi di autocontrollo (“spiega come ci sei arrivato”). Non basta una lista di link in fondo: serve tracciabilità punto-a-punto. 

  7. Impostazioni che contano davvero
    Dalla privacy al tono dell’assistente, gli utenti chiedono leve significative, non solo caselle legali. Metto a vista preset sensati (formale, neutro, colloquiale) e parametri per “audacia creativa”, spiegando l’impatto.

Criteri di qualità che uso per dire “questa UI per l’IA funziona”
  • Chiarezza: l’interfaccia anticipa cosa succederà (e cosa può andare storto).

  • Prevedibilità: comandi e stati sono consistenti, anche per un agente software. 

  • Recuperabilità: annulla/ripristina, versioni e snapshot creano sicurezza psicologica.

  • Trasparenza: si vede il “perché” delle scelte dell’IA (dati, fonti, confidenza).

  • Agency: l’utente rimane nel circuito decisionale nei punti che contano. 

Un parallelismo che mi guida
Saffer lo sottolinea con un paragone che condivido: l’arrivo dello smartphone non ha cancellato la UI; ha creato una nuova generazione di componenti (gesture, layout responsivi, pattern mobile-first). Oggi sta accadendo lo stesso: con l’IA non stiamo abbandonando l’interfaccia, stiamo forgiando UI per l’IA - interfacce che espongono potenza in modo maneggevole, visibile e sicuro.
Conclusione: progettare la simbiosi, non lo scontro

Se guardo avanti, non vedo una guerra “AI contro UI”, vedo simbiosi. Conversazione e voce sono strumenti potentissimi in più nella cassetta, non sostituti universali. Continueremo ad avere bisogno di vedere, toccare, manipolare, ripensare: e la UI - ben progettata - sarà il ponte tra l’intenzione umana e la capacità computazionale. È qui che, come designer e come professionista di prodotto, scelgo di stare: nel punto di contatto dove l’IA diventa usabile, affidabile e giusta per le persone. È un lavoro, non una magia - e proprio per questo è il momento più interessante per fare design degli ultimi dieci anni.

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