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Ballare con l’AI: il nuovo ruolo del designer nell’era del Software 3.0

From reducing repetitive tasks to improving accuracy, AI-powered workflow automation is helping businesses scale faster and work smarter. Discover how companies across industries are integrating AI into their daily operations.

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L’intelligenza artificiale non sta solo entrando nei flussi di lavoro: sta iniziando a ridisegnare il design stesso. Non parliamo più di piccoli tool che fanno risparmiare tempo, ma di sistemi capaci di generare da soli interfacce, interazioni e persino esperienze complete. È un terremoto silenzioso, e chi lavora nel mondo della UX lo percepisce ogni giorno di più.

Un esempio? La demo di Sam Altman con GPT-5. Non era un prompt tecnico tipo “fai un bottone”, ma quasi un’istruzione artistica: “Usa BeatBot per creare un ritmo per celebrare GPT-5”. Il risultato? Non un file audio, ma un’interfaccia visiva astratta, un synth digitale fatto di punti e nodi, che l’utente poteva manipolare in tempo reale. Non solo output, ma esperienza interattiva generata dall’IA.

È questo il punto: l’IA non si limita a copiare i pattern che conosce. Può proporre metafore nuove, a volte non convenzionali, che sfidano le nostre best practice. È affascinante e un po’ destabilizzante

Non la fine della UX, ma la fine della UX come la conosciamo

Darren Yeo, in un articolo su UX Collective, lo dice senza mezzi termini: “Non è la fine della UX, ma potrebbe essere la fine della UX come la conosciamo.”

E ha ragione. Se il tuo lavoro è disegnare interfacce statiche, sei in competizione diretta con la macchina. L’IA generativa può creare in pochi secondi centinaia di varianti di form, card, layout “corretti”. Dove allora mettiamo il valore umano?

La risposta non è “fare meglio i pixel”, ma salire di livello. E qui emergono tre nuove competenze chiave:


  • verifica: controllare non solo che funzioni, ma che sia coerente, etica, accessibile;

  • creatività strategica: immaginare bisogni e scenari che l’IA non vede;

  • pensiero sistemico: orchestrare l’esperienza complessiva, non solo il singolo touchpoint.


UX nell’era delle AI tools: esempi concreti

Non parliamo in astratto: già oggi esistono strumenti che mostrano questa transizione.


  • Perplexity: combina la potenza del modello con la capacità di ricerca. Qui il valore di design è nello spiegare come l’IA arriva a un risultato, con fonti, link, passaggi chiari. È UX come trasparenza.

  • Cursor: un editor di codice che permette di decidere quanta autonomia lasciare all’IA. Scrive righe, file o interi moduli, ma sempre con un’interfaccia visiva che facilita la verifica umana. È UX come slider di fiducia.

  • DeepSeek: introduce pannelli di spiegazione che raccontano il ragionamento passo passo. Invece di un loader anonimo, offre un processo leggibile. È UX come narrazione del pensiero.


Questi esempi mostrano una direzione precisa: la GUI diventa lo spazio dove l’umano esercita controllo e comprensione, rendendo il ciclo “AI genera, umano verifica” fluido ed efficiente.

La tuta di Iron Man e il valore del tocco umano

Andrej Karpathy è una delle voci più autorevoli nel campo dell’intelligenza artificiale. Ex direttore dell’AI di Tesla, ha il talento di raccontare con immagini semplici trasformazioni complesse. Una delle sue metafore più incisive è quella della tuta di Iron Man.

Andrej Karpathy - Software Is Changing (Again)

Per lui l’IA non va vista come un robot autonomo che sostituisce l’essere umano, ma come un esoscheletro cognitivo che amplifica le nostre capacità. Non siamo spettatori passivi di un sistema che decide al posto nostro: restiamo al comando, guidiamo la direzione, moduliamo la potenza. In questo scenario, il ruolo del designer non è quello di disegnare pulsanti o schermate, ma di progettare quelle tute digitali che ci rendono più forti senza farci perdere controllo.

Ed è qui che il discorso si lega in modo diretto alla user experience. Perché una tuta digitale ben progettata non è solo funzionale: deve trasmettere fiducia, deve rendere chiaro cosa l’IA sta facendo e fino a che punto, deve permettere all’utente di regolare il livello di autonomia come uno slider. L’UX diventa quindi la chiave per bilanciare potenziamento e controllo, immediatezza e trasparenza.

C’è poi un livello più sottile, quasi filosofico. In un futuro dove molte interfacce saranno generate dall’IA - perfette, ottimizzate, ma spesso simili tra loro - il vero valore potrebbe emergere non nell’efficienza, ma nell’imperfezione umana. Un tratto di originalità, una scelta estetica non convenzionale, una micro-interazione che porta emozione. Sono elementi che un algoritmo difficilmente replica, perché non nascono da pattern, ma da empatia, sensibilità e cultura.

Un po’ come un oggetto artigianale rispetto a un prodotto industriale: non è sempre più funzionale, ma trasmette calore, identità e connessione. Allo stesso modo, in un mare di esperienze standardizzate dall’IA, il tocco umano potrebbe diventare un segno distintivo della UX, una forma di autenticità percepita e apprezzata.

Conclusione

La sfida che ci troviamo davanti non è scegliere se usare o meno l’IA. È capire come ballarci insieme. Non è la fine della UX, è la sua evoluzione: da esecutori di interfacce a curatori di esperienze intelligenti.

Il nostro valore si sposta dall’esecuzione alla direzione, dalla forma alla relazione. E forse la domanda più urgente che dobbiamo porci, come designer e come utenti, è questa:

👉 In un mondo dove l’IA può generare esperienze a ritmo serrato, come possiamo garantire che rimangano esperienze autenticamente umane, inclusive e significative?

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